Vi è, dentro al borgo, un albergo
e dentro all'albergo c'è un negro.
Sebbene da un occhio sia guercio,
lo scorgo e mi sembra pigro;
infatti non mangia nient'altro
che una manciata di sorgo.
Lo scorgo ma non lo denigro;
va bene, si tratta di un servo
ed io sono armato di nerbo
però non lo obiurgo: non vergo,
non vapulo il corpo suo glabro.
Pensando sia sporco e non negro,
dapprima di acqua lo aspergo
e quindi il suo volto detergo
ma non cambia nulla e mi accorgo
che trattasi proprio di un negro.
Del dramma del negro che, pigro,
mangiando soltanto del sorgo
diventerà sempre più magro
io presto, dicevo, mi accorgo
e quindi gentile gli porgo
un'altra manciata di sorgo.
Poi con le parole lo urgo,
gli dico: 'capisco, sei pigro,
ma non arguisci, o negro,
che tu ingurgitando soltanto
dei turgidi grani di sorgo
ti fai via via sempre più magro'?
Il negro non dice a me 'grazie'
(di contro non gli dico 'pergo'
dacché non esiste quel verbo)
ma muta da agro ad allegro.
Si volta mostrandomi il tergo,
va via e lo vedo che arranca...
poffare! il negro è una bianca!
Il pene gli manca e indossa
due calze di bianca filanca.
A tanto alla fine convergo:
di certo è perché sono guercio
che il negro mi sembrava lercio;
esigua è la dose di sorgo
esigua è la dose di sorgo
ma non perché il negro sia pigro,
piuttosto perché quella bianca
è umana, non è una giovenca
e il sorgo alla lunga la stanca.