19 gennaio 2024

Mi comprerò

                        mi comprerò
le parole sono state
censurate dall'autore
per il piccolo timore
di apparire inopportuno

ma che bene che ti voglio
se tu vuoi bene a me,
anche se tu non lo dici
e così il sospetto nasce:
tu lo fai per la prebenda...
lo fai per il guiderdone.

22 dicembre 2023

Te

Tediato a tal punto
dall'essere giunto
con fare compunto
a desiderar di
morire d'inedia
(noi non lo si invidia)
salì su una sedia
disposta con cura
accanto alla forca
ma ciò (stare attenti!)
faceva per noia,
fors'anche per celia
ma non certamente
per altra ragione
difatti s'è detto,
avendo ragione,
che l'impiccagione
non era suo intento.
Che pensa? Che mento?

Dicevasi prima
che presa la sedia
salivaci in cima
ma senza gran lena,
in estasi cupa
tutt'altro che amena.
Presumibilmente
ora meglio di prima
vedeva distesa
(non prona, supina)
quell'alma serena
di lei che bramava,
voleva, agognava,
la fine di lui
prossìma e vicina.

Di lei che credeva
la fine vicina
con gusto rideva
poi l'apostrofava
dicendo 'che fessa'.
In quanto alla sedia,
trovavasi in cima
e deliberava
di scender da essa
ponendo a quel tedio
alfine rimedio.

14 ottobre 2023

A Matilde

A Matera, in riva al mare,
c'è la madre di un signore
(un soggetto, un tizio, un tale...)
che in maniera amatoriale
e del tutto non virile
matta e ria vedo intimare,
con un'arma immateriale,
l'armatore di un reale.

Si dà il caso che il signore
(l'armatore, il tizio, il tale...)
minacciato con livore
della prima sia (stupore!,
lo direste?) il genitore.

Forse fragorosamente,
forse colto da remòre,
(da remòre? non è piana...
dillo bene per favore!)
il sollecito lettore
vispo e all'erta ormai da ore
dirà "Scusi," all'autore
"ma dev'esserci un errore.
Non può essere il signore,
della donna in riva al mare,
la progenie e il genitore".

Egli, essendo un armatore,
disponendo di congegni
da difesa di valore,
non dovendosi curare
di quell'arma immateriale
che è tutt'altro che reale
e non serve a intimorire,
senza rèmore la assale
(ora è giusto, niente male...)
ma la madre gli ricorda
che a Matera non c'è il mare
dunque tutto lo scenario
che ho descritto in queste righe
vive solo nel mio dire
e la scena surreale
che persevero a narrare
non si può verificare.

Non per spregio (ovvio, no) ma
per potersi migliorare
è invitato ad umiliarsi
il sollecito lettore
che all'anagrafe va e dice
"non può essere la donna
figlia ed anche genitrice"
contestando la stranezza
di un legame familiare
che (diciamolo, va bene...)
sarà pure irregolare
ma si situa in una scena
che è del tutto surreale
perché come ricordava
la signora all'armatore
(al soggetto, al tizio, al tale...)
a Matera non c'è il mare.

31 marzo 2023

Incontro

Ho incontrato una donna,
che era insieme ad un uomo.
Mi hanno tolto la maglia
e così ero nudo.
Mi han disteso supino
su una specie di branda.

L’uomo ha spento la luce
e nel mentre la donna
mi ha cosparso la pancia
con un fluido inodore;
ne ignoravo il colore
non potendo vedere,
nella stanza era buoi…muu!
Era buio, d’accordo,
ma c’è stato un errore
nello scrivere il testo.
Non vedendo, dicevo,
non sapevo che fosse
e pensavo ‘è sperma!’

Mi posava, la donna,
un oggetto sul ventre
e spingeva, spingeva
non con forza, con garbo;
non provavo dolore
ma per me era inquietante…
poi spostava l’oggetto
trascinandolo ancora
lungo il mio nudo ventre.

Conversava con l’uomo;
riferivavi cose
che io non comprendevo
ma parlava, lo giuro,
nella stessa mia lingua.
Ad un tratto ho asserito
che iniziavo ad avere paura.
Mi hanno messo in ludibrio.

Se non eran due medici
e non stessi parlando
di una ecografia all’addome,
non gli avrei mai concesso
di trattarmi in tal guisa.
Ma neanche per sogno.

29 gennaio 2023

22 luglio 2022

Tryhardare

Io mi chiedo perché i verbi 
che inventiamo in italiano 
adattando senza garbo
espressioni dall'inglese 
vanno immancabilmente
a finire nella prima
delle tre coniugazioni.

Io mi spiego, spero meglio, 
adducendo al mio discorso 
come esempio 'tryhardare'.
Questo verbo singolare 
che proviene da try hard 
viene usato con lo scopo 
di descrivere l'azione 
di provare duramente, 
con alacre abnegazione,
(di impegnarsi con fatica 
e con fare assai zelante)
per raggiungere uno scopo.
 
Se la sua coniugazione 
fosse, invece della prima,
la seconda (in italiano, 
o la terza del latino) 
non sarebbe tryhardare 
ma tryhardĕre il verbo. 

Noi potremmo coniugarlo 
come ardere, pertanto 
io tryhardo, tu tryhardi 
mentre insieme tryhardiamo.
Ad un tratto ci stanchiamo 
e d'accordo decidiamo 
che diremo tryhardire.
Lo mettiamo nella terza 
delle tre coniugazioni 
(tre ne abbiamo in italiano).

Dunque lo coniugheremo 
senza dubbio come ardire,
quindi quando tryhardisco 
tu distante tryhardisci 
ma non vuoi stare lontano;
ti appropinqui, noi ci uniamo 
ed ancora tryhardiamo.

Ma se il verbo è tryhardare
non si sa cosa inventare 
per poterlo coniugare. 
Forse ci si può ispirare 
ad un verbo come dare, 
però dare è irregolare 
(do, das, dedi, datum, dare) 
e se ancora come prima 
io tryhardo (chi mi frena?) 
tu non dirmi quel che fai:
già lo so che tryhardai.

Ti appropinqui, ci riuniamo
ed insieme che facciamo?
Che domande! Tryhardiamo!

05 giugno 2022

Negro

Vi è, dentro al borgo, un albergo
e dentro all'albergo c'è un negro.
Sebbene da un occhio sia guercio,
lo scorgo e mi sembra pigro;
infatti non mangia nient'altro
che una manciata di sorgo.

Lo scorgo ma non lo denigro;
va bene, si tratta di un servo
ed io sono armato di nerbo
però non lo obiurgo: non vergo,
non vapulo il corpo suo glabro.

Pensando sia sporco e non negro,
dapprima di acqua lo aspergo
e quindi il suo volto detergo 
ma non cambia nulla e mi accorgo
che trattasi proprio di un negro.

Del dramma del negro che, pigro,
mangiando soltanto del sorgo
diventerà sempre più magro
io presto, dicevo, mi accorgo
e quindi gentile gli porgo
un'altra manciata di sorgo.

Poi con le parole lo urgo,
gli dico: 'capisco, sei pigro,
ma non arguisci, o negro,
che tu ingurgitando soltanto 
dei turgidi grani di sorgo
ti fai via via sempre più magro'?

Il negro non dice a me 'grazie'
(di contro non gli dico 'pergo'
dacché non esiste quel verbo)
ma muta da agro ad allegro.
Si volta mostrandomi il tergo,
va via e lo vedo che arranca...
poffare! il negro è una bianca!
Il pene gli manca e indossa
due calze di bianca filanca.

A tanto alla fine convergo:  
di certo è perché sono guercio 
che il negro mi sembrava lercio;
esigua è la dose di sorgo
ma non perché il negro sia pigro, 
piuttosto perché quella bianca 
è umana, non è una giovenca 
e il sorgo alla lunga la stanca.

05 maggio 2022

Fumetti fumetti fumetti

Dove vanno gli autori di fumetti?
Da nessuna parte. Stan lì.

01 maggio 2022

09 aprile 2022

Rimuovi

Rimuovi i tuoi peli
però ti cauteli.
Prestando attenzione
scongiuri i reconditi mali
che insiti vedi
nell'operazione
che porta il nome
di depilazione
la quale, del resto, si sa,
consta solo nel gesto
di togliersi i peli.

E in niente di più.

20 marzo 2022

Maritare coniugato

Chi ha per moglie 'maritare'?
Non ha moglie 'maritare'
non essendo coniugato.
'Maritare' è un infinito,
ma se fosse coniugato
diverrebbe 'io marito'
ed essendo lui marito
presumiamo avrebbe sposa,
ma sarebbe un'altra cosa
se lui fosse un invertito;
in quel caso, pur marito,
non la sposa, ma il marito,
dopo l'esperito rito avrebbe seco.

E se avesse lui un marito,
diverrebbe 'maritato'
ma sarebbe in altro modo coniugato.

È perfetto (cioè finito)
lo sproloquio strampalato
sulla moglie e sul marito
auspicando che nessuno
sia talmente tanto ardito
da recarsi al loro rito senza invito.
 
Noi ardiamo e ci andiamo,
essi chiamano i pompieri.

27 settembre 2021

17 settembre 2021

Formiche ferme e inoperose

Nella vecchia scuola superiore, la quale negli ultimi tempi si sta tramutando in un ospedale per il volere della direzione, ho preso per merenda, da casa, 5 noci. All'ora della fame rompo i malli e noto, su una di esse, un piccolo fiorellino che rimuovo dal frutto. Dal foro creatosi escono sorprendentemente tante formichine, minuscole, che si gettano per terra e stanno ferme, il che è molto strano per delle formiche. Così io le schiaccio con il piede ma queste non muoiono. 

Buttando del pane a terra noto che esse si fiondano sul cibo, lo divorano e crescono in volume a vista d'occhio, crescono di un volume ben superiore a quello ingerito. Dopo essersi nutrite, si rimettono ferme in piccoli gruppetti, come un battaglione ben ordinato. La cosa, non lo nascondo, mi spaventa un pochettino. Vado a cercare del ddt, non so da chi, comunque la persona a cui chiedo è una ragazza che non parla nemmeno l'italiano, solo in inglese, ed è a casa sua (magari l'avessi trovata a scuola, sarebbe certamente stato più comodo). Le chiedo, facendomi capire e arrancando con l'inglese, come al solito, se ha del ddt per allontanare le formiche o almeno per ucciderne una prima porzione. Mi porge un sacchetto con scritte sopra cose che non mi dicono nulla all'istante. Per dire, non ci sono immagini di insetti, e poi non è una 'bomboletta' come pregiudicavo, ma solo un sacchetto molle. Le manifesto i miei fondati o no dubbi, cercando di leggere sulla confezione per capire cosa mi ha fornito, ma lei non me ne lascia il tempo; dice solo che suo padre ha detto che va bene questo e quindi è ddt e funzionerà contro le formiche. Tuo padre? Ma cosa me ne frega a me, le direi, ma lascio perdere e mi allontano facendo buon viso a cattivo gioco, però mi sbarazzo quasi subito del prodottino (col senno di poi, avrei potuto tentare anche quella strada, ma allora ero incosciente) e vado a mangiare con gli altri compagni di scuola. Questi geni azzardano a dire, sulla base di che cosa non lo so, che servano delle lampadine per allontanare le formiche, o al limite dei neon. Dubbioso decido però di assecondarli, tanto lampadine qui non sapremo dove prenderne. E invece dopo pranzo i fenomeni hanno l'idea di sottrarre le lampadine dell'ascensore. Si tenga presente a questo punto che le lampade nell'ascensore non sono poste in alto bensì in basso, sostanzialmente apriamo un vano senza alcun blocco e preleviamo dal fondo dell'ascensore una lampadina, tra le mie sempre crescenti perplessità ad esempio, anche a costo di risultare pedante, che:

  1. Non ho ancora capito in virtù di cosa delle lampadine dovrebbero risultare utili per scacciare le formiche, secondo:
  2. Faccio presente che si tratta di danneggiamento dei beni della scuola, per non dire furto, e il professore di tecnica delle scuole medie avrà certamente il buon tempo di rimproverarci, a ragione.
  3. Se mi dite voi che di lampadine ne servono due, ma allora perché ne sottraete una sola, visto che ce ne sono 4?

E in merito a quest'ultimo punto mi obiettano saggiamente che prendendone 2, ovvero dimezzando l'intensità (beh, intensità, dalla bocca di certa gente suona come una parola un tantito fuori luogo, ma va bene lo stesso...), dimezzando l'intensità della luce nella cabina dell'ascensore, dicevo, qualcuno potrebbe notarlo e andare in fondo alla faccenda financo scoprendo i colpevoli. Quindi in questo senso sembrano viepiù oculati di quanto non li avrei fatti. Tuttavia li lascio e mi dirigo da solo nell'ala della scuola che ormai è totalmente adibita solo ad ospedale, anche se purtroppo si tratta del reparto con i 'freaks', quindi vi si trovano:

  • l'uomo che ha il braccio più grande dell'uomo
  • l'uomo quadrato
  • l'uomo senza ossa e conseguentemente con il corpo molle, etc.*

La situazione mi fa un po' schifo e non so mai se guardare come un guardone o girarmi dall'altra parte. Farò un po' una e un po' l'altra delle due. Il mio intentò, in tutto questo freak-andò, è di trovare una persona che si occupi delle pulizie dei locali a cui chiedere in prestito del ddt, caso mai ne disponesse. Si tenga presente che il mio scopo ultimo è ben sempre disfarmi delle formiche maledette.

{

A questo punto una digressione tra parentesi graffe è all'uopo. La rima tra intentò (con l'accento) e fricandò è solo casuale e dettata da una mia errata digitazione (la prima, non la seconda) che ho ben pensato di non correggere ma di esplicare, digitando ben più volte. Inoltre ci sarebbe stata anche una osservazione sulla parola fricandò, il cui gioco di parole con freak è evidente, che però ora ritengo di non dover più trattare, poiché ho cambiato idea. Vale la pena invece di vantarsi come un idiota per il fatto che non ho espresso alcun riferimento alla tanto citata 'donna delle pulizie' che il buon costume impone di nominare, in vece di un generico incaricato dal sesso imprecisato.

}

Non trovo nessuno che pulisce, nessuno che dia neanche lontanamente l'aria di avere del ddt a portata di mano, allora nel ritorno in aula mi fermo all'edicola dell'ospedale, e anche qui potrebbe criticarsi la supposizione da parte mia per la quale avrei dovuto trovare ddt in un'edicola, ma tant'è... Infatti all'edicola non c'è nulla, fatta eccezione per un piccolo album merlin, che possa essere di mio interesse. E neppure l'album merlin vale la pena di acquistare a parer mio. Così esco sottoposto allo sguardo torvo della gestrice, ma girati di là, signora.

Giunto all'aula in cui avevo lasciato le formiche in disposizione marziale, osservo che ve ne sono in numero esiguo, quindi mi rallegro lì per lì ma ho esultato troppo presto. Infatti si sono solo spostate, addensandosi nell'armadio, sempre in assetto da guerra, ma pur sempre ferme. Continuo a sottolineare quanto sia strano per delle formiche stare ferme e inoperose. Noto però che nel frattempo si sono molto ingrossate, segno che qualcosa hanno mangiato e non si sottopongono a un forzato digiuno. Poiché la macchinetta del mio telefono non funziona bene, chiedo a un collega di fare una foto alle insolite formiche, non tanto per mio interesse personale, quanto per l'interesse di tutti, della comunità di zoologi che non attende altro, diciamo la verità.

Egli, invece di fotografare le formiche, avendo ormai appreso che mangiano di tutto in tempi da record, ribalta sulla massa di animaletti gli avanzi di un panino con carne bovina che gli insetti divorano seduta stante, manco ci fosse bisogno di una conferma da parte loro.

Perché compie quel gesto? I suoi figli, quando saranno grandi, lo manderanno a cagare per ciò.

*Salute. Grazie. La prossima volta copriti con il gomito e non con la mano, coglione.

26 agosto 2021

Frase bisenso

 (2 6 4'5)

GIUSEPPE MAZZINI

02 maggio 2021

Il compleanno di C. Gambetti

Mi reco con la combricola di amici al compleanno di C. Gambetti. Siamo stati invitati al pranzo ma l'ora d'arrivo non è prescritta ufficialmente. Così come dei mangioni a ufo arriviamo alle 11 e 40. Gli altri invitati giungeranno a partire dalle 13 e 45 circa, quando noi saremo ormai spossati e pronti per abbandonare la celebrazione.

Una volta raggiunto il posto, una bella casa di campagna ristruttorata (sarebbe a dire che è stata ricoperta di strutto più volte) recentemente grazie a incentivi statali, scopriamo che non c'è nessun pranzo regale, non c'è nulla di apparecchiato e non si vedono nemmeno le tartine da rinfresco, nè roba da potersi mangiare in piedi.

Entriamo in casa e C. Gambetti è in compagnia della madre. Hanno due cani molto affettuosi che ci vengono incontro e a cui faccio le coccole, salvo notare che hanno cagato ripetute volte sul pregiato tappeto in sala e stanno continuando a continuare a farlo. Così porto la cosa all'attenzione di C. Gambetti e della madre, la quale mi chiede di osservare meglio: non si tratta di merde di cane che vedo, bensì di aloni di merde di cane. Il cane ha cagato tante di quelle volte sul tappeto, mi dice, che sono rimasti aloni talmente grandi e intensi da sembrare a prima vista delle merde vere e proprie. Abbiamo provato a toglierli ma non c'è niente da fare, rincara. Premurosi, giriamo alla larga dal tappeto.

Finalmente, dopo una lunga attesa, appare la torta di compleanno! Un roll al cioccolato preso al discount. Il mio amico speciale si incarica di tagliarlo per tutti, ma anziché fare le fettine come d'uso corrente lo taglia in tre parti per il lungo. Gli sbraito contro come un ossesso, urlando che non bastava già la figuraccia meschina di essere venuti presto per mangiare più di tutti gli altri, ma dobbiamo mettere in bella vista anche l'incapacità di porzionare dei dolci da supermercato.

Cerchiamo di rabberciare alla bell'e meglio tagliando anche nell'altro senso e distribuendo dei cubetti, ma non è la stessa cosa dio bono... Salviamo la faccia ma non è una cosa molto raffinata a mio dire. Alle 13 e 45, mentre gli invitati seri arrivano con dei regali (che noi, per inciso, non avevamo) lasciamo il luogo invisibilmente.

20 aprile 2021

Carl Czerny, frustrante op. 740

A tutto quello che segue premetterei che la tecnica, quando si studia uno strumento musicale, è imprescindibile e va esercitata. Altrimenti non si sta studiando quello strumento. In effetti cos'è la tecnica? Altro non è che la capacità di fare ciò che si vuole con lo strumento. Di averlo sotto controllo. È la capacità di saper fare con il proprio corpo i movimenti e i gesti necessari per utilizzare lo strumento.

L'aspetto tecnico va di pari passo con quello legato ai 'linguaggi', creando a volte confusione anche in personaggi apparentemente (e forse per davvero) preparati. Si tratta di due facce della stessa medaglia (la medaglia sarebbe il saper suonare lo strumento), ma sono pur sempre due cose ben distinte. Quindi facendo un discorso estremo si potrebbe trovare chi sa fare tutto con lo strumento (tecnicamente) ma non lo può realizzare perché non ha assimilato un certo linguaggio, e quindi di fatto non sa cosa dire, e d'altro canto chi ha interiormente acquisito il linguaggio musicale ma non è in grado con il corpo di trasportare sull'oggetto le idee, resta inerme come il primo.

Ora, sul primo caso c’è da dire che raramente, anzi mi verrebbe da dire mai, si sono visti musicisti equipaggiati di tecnica strumentale disarmante ma incapaci di realizzare una qualsivoglia musica. Del resto per poter acquisire questa tecnica di cui parliamo, un po' bisognerà aver suonato, quindi almeno gli esercizi si sarà in grado di effettuarli. Si può affermare con certezza invece che ci siano tanti suonatori bravissimi che poi si mostrano carenti su alcuni determinati generi e stili musicali che evidentemente non hanno compreso a fondo, pur riuscendo in molte situazioni ad imitarli in maniera più che accettabile.

Prima ero una sorta di radar, cioè cercavo sempre di capire la musica per poi suonarla bene... capirla? Ma la devi sentire la musica! Ti giuro che per tanti anni io ho filtrato attraverso il cervello le cose perché era l’unico modo “sicuro” di farle bene. (Michele Luppi)

La tecnica dello strumento è una e basta. Chiaramente se si nota che in certi ambiti vengono utilizzate prevalentemente particolari tecniche e ne vengono tralasciate altre, si potrebbe essere portati a credere che vi siano più tecniche diverse, ma è solo un accorgimento adottato in fase di catalogazione e di suddivisione dei vari 'reparti'.
Ci sono vari livelli di difficoltà tecniche, che possono essere affrontati o meno (e in modi diversi) a seconda di quello che si vuole fare. Ad esempio si potrebbe dire che Paolo Conte e Donald Fagen suonano bene, pur con tecnica scarsa, e se ne farebbero ben poco di tecnicismi particolari e funambolici per i generi che suonano. Certo, ho citato due autori di canzoni e non due pianisti, ma l'argomento resta valido: hanno tecnica sufficiente per ciò che debbono eseguire. Aggiungo anche che sono due dei più stimati da parte mia, onde evitare che si pensi che io con la frase precedente volessi screditare per spasso due monumenti della musica del '900.
Si capisce fin da ora (per i nomi che ho richiamato) che si parlerà di tecnica del pianoforte e non di uno strumento qualsiasi. Il pianoforte è lo strumento che conosco meglio tra i tanti esistenti. Gli approcci allo studio di questa tecnica sono svariati, non li conosco tutti ed il tema è senz'altro alla portata degli insegnanti di pianoforte (perché è il loro lavoro quindi io umilmente do per scontato che sappiano quello che fanno, visto che questa supposizione in tal frangente mi fa comodo per poter accusare delle persone di imperizia), mentre non mi ascrivo alcuna competenza e tanto meno delle qualifiche, ma solo il diritto di mettere per iscritto le mie idee. Comunque esaminerò due atteggiamenti verso lo studio del pianoforte.
Il primo consta nell’applicarsi su esercizi ripetitivi e “di base” (diciamo in stile Hanon per capirci o per fare capire a chi ha suonato il pianoforte con piacere e continuità per un periodo non troppo risicato. Gli altri mi aspetto che abbiano abbandonato la lettura già prima di arrivare qui) ed è sicuramente noioso per molti. In verità, non ho altro da dire, incluso un eventuale mio sbilanciarmi sullo stimare buona o no la redditività di un metodo del genere. Di manuali al livello di Hanon ve ne sono a miriadi io credo; ho l'impressione che siano tutti inutilizzabili senza un insegnante e in ogni caso senza il supporto e l’affetto di una guida più esperta. Di fatto, ogni pianista incontrerà le proprie personali difficoltà durante il percorso e uno dei compiti del buon insegnante dovrebbe essere anche quello di curare i problemi più evidenti selezionando, dall'Hanon del caso, la pratica più idonea per tentare di avviare una manovra correttiva. Ma suonare un manuale tecnico dall'inizio alla fine mi pare una cosa folle oltre che stancante ed inutile. Probabilmente questi libri si addicono a chi è già alle prese con altri studi tecnici e, notando l'emergere di specifiche criticità, desidera curarle con un intervento mirato.
Il secondo e ultimo metodo che posso enumerare ha un nome e un cognome ben precisi: Carl Czerny.
E qui viene il bello.
Ora, Czerny è stato allievo di Beethoven (le cui sonate per pianoforte verranno ricordate in futuro come uno dei più alti picchi raggiunti dall’umanità nell'800 insieme alle equazioni di Maxwell) quindi l'opinione che dovrà emergere di lui non potrà che essere positiva e il suo operato, molto ossequiosamente, non si discute. Ma non deve neanche passare per l'anticamera del cervello di poterlo fare. Detto questo, i difetti del suo metodo legati a carenze di tecnica sono dovuti al fatto che esso è risalente a 200 anni fa e in generale vale la regola che nuovi linguaggi danno spazio alla nascita di nuove tecniche. Quindi l'odierna tecnica del pianoforte (che comprende anche la capacità di suonare il blues e tutto ciò che è stato inventato dopo) non è la stessa diffusa nell'800 a Vienna. Certo mi si potrebbe obiettare che più in alto ho scritto chiaramente che la tecnica dello strumento è una. Io però non sono un musicista, né un musicologo, né uno scrittore e tutte queste lettere le scrivo nel corso degli anni talvolta perdendo la linea dell’orizzonte di ciò che faccio.
Sintetizzando, diciamo che la tecnica è una sola e si amplia grazie ai nuovi generi (si amplia grazie all’aumentare del numero dei linguaggi, i quali godono di una crescita molto più evidente), si espande quindi, ma che con Czerny si suona ancora quasi tutto. E si suona bene, aggiungo.
In mia modesta opinione credo che oggi per suonare qualcosa che non sia musica classica basti avere nelle mani la tecnica di Czerny fino al libro 636, ma seriamente, non come lo suono io... il 740 è anche troppo. Voglio dire: se il metodo Czerny è utilizzato da 200 anni avrà qualcosa di buono, no? Tutti i pianisti bravi che conosciamo oggi e che sono venuti dopo, hanno studiato lì. Se arriva qualcun altro e propone la novità, ottimo! Dovremo però attendere almeno 200 anni per poter verificare chi è durato di più tra i due. Prima sarà difficile dirlo perché solo la storia potrà darci la risposta più credibile.
La caratteristica di Czerny di essere strettamente legato alla classica tradizione viennese, apre la porta ad altre problematiche di carattere ibrido tra il tecnico e il musicale. Inevitabilmente gli studi formano l'allievo anche musicalmente, coinvolgendolo sul piano del famoso “linguaggio” di cui discutevo prima, e il linguaggio di Czerny non contempla quelle particolarità che poi rischiano di spiazzare il pianista. Intanto tutti bravi a suonare in sol e in re (maggiori), ma appena c'è un pezzo in re bemolle ti voglio vedere a leggerlo e suonarlo con la stessa disinvoltura. Ma in effetti la musica in re bemolle è molta meno che quella in re, quindi diviene conveniente studiare nelle tonalità che si utilizzano di più e lasciare in secondo piano le altre. Inoltre sono quasi tutti in 2, 3 e 4 quarti e pensati per essere suonati con un metronomo in 4. Mettere il metronomo solo sul 2 e sul 4 crea spesso delle difficoltà.
Ecco, secondo me questi problemi non sono strettamente tecnici ma dipendono dal genere musicale in cui si calano gli studi. Ci sarebbe poi da considerare che l’elevato numero di studi in poche tonalità contribuisce a rendere la musica di successiva composizione monotonale e in ogni caso spesso limitata a poche tonalità, quindi si crea un piccolo circolo da cui sembra difficile uscire.
Ma allora tecnica e linguaggio sono collegati? Certo che lo sono! Inevitabilmente impari sempre entrambe le cose ma in misure diverse; in questo caso ti sbilanci sul classico, ma come detto prima l'alternativa per evitare del tutto ogni genere è fare cose noiose (e anche qui non sono sicuro che si sia esuli da condizionamenti sul linguaggio).
Il punto critico quando si parla di Czerny emerge quando si arriva a parlare dell’op. 740. Intanto bisognerebbe capire cosa significa op., cioè se significa opera oppure opuscolo. Questo non me l’ha mai detto nessuno, ma non è nemmeno tanto significativo.
L’op. 740 è, per un amatore, a dir poco frustrante. Velocità assurde per musiche monotone che si impastano nel cervello.

Per mettere al posto giusto le note, io devo battermi il tempo coi piedi e con la testa, ma addio disinvoltura, addio serenità, addio musica. La musica che proviene da un organismo equilibrato è lei stessa il tempo ch’essa crea ed esaurisce. Quando la farò così sarò guarito. (Italo Svevo)

Io credo che oltre ad una difficoltà tecnica sulle capacità delle dita (che prima o poi si manifesta e forse a tratti potrebbe essere già risolta ed esaudita) ci sia da prendere in considerazione la pesantezza di certe musiche che devono affrontarsi, perché tutti quei sedicesimi a 120 bpm sono tante note… tantissime! Si rischia di non riuscire più a dare un significato alla musica e tanto meno risulta possibile pensare alla stessa mentre la si suona. Bisogna decidere se sentire le note o sentire le frasi, quando si suona veloce.

Back in bebop, everybody used to play real fast. But I didn't ever like playing a bunch of scales and shit. I always tried to play the most important notes in the chord, to break it up. I used to hear all them musicians playing all them scales and notes and never nothing you could remember. (Miles Davis)

Miles Davis non riusciva a suonare veloce perché doveva sentire tutte le note, almeno così diceva, una per una. Pensare quando si suona è un argomento spinoso, che non si tratterà qui, ma vorrei dire che è molto difficile pensare a tanti sedicesimi velocissimi quando si suona, non resta più il tempo di dare un senso a tutte queste note.
Così mi soffermo sulla velocità dei brani di Czerny la quale mi porterà poi a fare un'altra considerazione. Per suonare a certe velocità, a parte disporre di uno strumento adeguato, è anche necessario esercitare tante volte. Qui stiamo solo parlando di acquisire con il corpo umano una capacità meccanica di fare qualcosa, siamo ben lontani dal senso della musica. Per una persona che non è un professionista, non è un musicista insomma, la cosa diventa presto alienante. Tanto tempo, banalmente, molti non lo hanno da dedicare, per le ragioni più svariate. Ci si potrebbe allora chiedere: è meglio fare poco bene o fare tanto male? Eh sì, perché se per fare bene uno studio ci si deve rimanere tanto tempo sopra, conseguentemente se il tempo è risicato si suoneranno pochi studi. E allora si perde da un’altra parte inevitabilmente. Fare per un anno un singolo studio che senso ha? Forse a volte sarebbe opportuno e conveniente ritornare indietro a materiale tecnicamente più semplice? Riprendere brani più facili e farne di più per ritrovare anche un po’ di soddisfazione. L’importante, probabilmente, è darsi degli obiettivi e avere chiaro dove si vuole arrivare.
Non avrei mai voluto darmi degli obiettivi in termini musicali; a me la musica piace, è per questo che la pratico. Mettere delle scadenze e introdurre obiettivi sarebbe limitante, anche se produrrebbe risultati tangibili (beh che sarebbero tangibili ho dei dubbi...) e migliori. Ma se un giorno non ho voglia di esercitarmi su uno studio di Czerny, io non posso obbligarmi a farlo perché tra un mese dovrò suonarlo a 160 bpm, non esiste proprio. Il pianoforte potrebbe non avere la priorità, io non sono un professionista dello strumento e mai lo sarò. Io rivendico il diritto di fare le cose a cazzo di cane, perché fare le cose professionalmente è il sintomo di un malessere generale e diffuso nella nostra società dove essere professionali e specializzati è più importante che essere persone virtuose e sentimentali. Si dovrebbe puntare a essere persone migliori integralmente, il che non vuol dire per forza fare una cosa molto bene e in modo professionale e magari avere carenze gravi in altri ambiti della vita.

Diversi metodi di insegnamento dello strumento vanno di pari passo con diversi generi musicali. Non ritornerò sul tema del jazz già trattato in un altro articolo in precedenza (anche perché ormai il tempo stringe), riporto solo una considerazione presa da un forum e di cui non ricordo l’autore.

Fai un anno di jazz e poi torna a fare il classico.
Ti farebbe capire, da una parte che probabilmente non sei ancora pronto ma, da un'altra, inizieresti a seminare nella direzione che poi potresti riprendere più avanti, ché la semina nel frattempo inizierebbe a germogliare
Cerco di spiegare meglio il mio precedente intervento. Ci sono persone che nascono e sanno quello che vogliono fare e soprattutto quello per cui sono portati e sono in grado di fare. Nel nostro campo (pianistico, NdR), quelli che hanno dentro e sanno ritrovare fantasia, creatività, memoria (!) per cui diventa facile cimentarsi senza ausilio di canovacci, spartiti, ecc. e altri che invece ne hanno bisogno e addirittura non gliene frega niente di essere "schiavi" di uno spartito anzi lo preferiscono. A queste diverse persone vanno bene maestri e scuole che in qualche maniera siano consoni a quello che loro vogliono e sono, rispettivamente diversi in un caso e nell'altro. Poi ci sono persone che non appartengono nè all'una nell'altra delle categorie di cui detto. Ecco secondo me costoro, devono avere il coraggio di seguire strade proprie loro, tipo il percorso sghembo che ho consigliato, diventando anche progettisti dei loro percorsi e operando scelte difficili che neppure sono comprese dai più.

In calce, ancora delle riflessioni prese in prestito da internet sull’utilità dell’op. 740. Ho sinceramente il terrore che la conversazione che riporto scomparirà prima o poi dalla rete. Io la copio tale e quale perché è esilarante, oltre che trattarsi di un buon esempio di come si svolgevano le bizzarre conversazioni da forum online. Poi, soprattutto, parla di Czerny e della sua utilità per poter in prospettiva affrontare gli studi di Chopin.

Onaocn: Il discorso è sempre lo stesso, da un parte la cultura musicale implica la lettura di molto materiale, dall'altra vi è la necessità di arrivare a un compromesso accettabile tra reali possibilità del pianista.
Visto che si parla di Clementi, ebbene come per Czerny se non si hanno gli studi sulle 5 dita e quello sugli arpeggi almeno a 140 di metronomo a quartina senza alcun problema, gli studi di Chopin non sono eseguibili.
Si è anche accennato all'ampiezza della mano e alle peculiarità personali del pianista, tutto vero eccezioni comprese ma, rimane che chi non ha superato i primi tre studi di Czerny op. 740 al metronomo sopra indicato, poiché è necessario andare per gradi (prima ancora scale e arpeggi allo stesso tempo), difficilmente potrà conseguire risultati degni di nota su studi come quelli dell'autore polacco, assumendo rischi anche seri.
E qui tratto brevemente il fattore pianistico insito nello sviluppo tecnico del giovane pianista, detto che le potenzialità naturali sono la priorità, non è da escludere la conoscenza diretta del lavoro pianistico sia come approfondimento della nostra struttura fisiologica atta a trarre le migliori performance dal compromesso esecutore/brano musicale sia di ordine strutturale/compositivo e stilistico.
Nel primo caso si potranno dare particolare rilievo all'"attacco del tasto" e a tutte le sue innumerevoli varietà di affondo e velocità di esecuzione nel rispetto della propria fisiologia e assoluta elasticità, nel secondo l'analisi del brano, rilevante ai fini della prassi esecutiva, dello stile e della memorizzazione.

RaffaeleMJ_91: Non si può parlare in termini certi... io non ho affrontato l'op.740 di Czerny ma suono regolarmente gli studi Op.10 no.12, Op.25 no.1 e Op.25 no.12 e sto per iniziare l'Op.25 no.9.
Penso che l'unico discorso valido sia quello riguardante le possibilità concrete del pianista, a prescindere da repertorio e altro... credo che gli studi di Chopin in cui effettivamente il bagaglio tecnico faccia la differenza (ovviamente non intendo dire che i principianti possano suonare tutti gli altri, ma comunque mi riferisco ad un livello medio/alto) siano i nn.1,2,4,8,11 dell'Op.10 e i nn.4,6,10,11 dell'Op.25. Questa è la mia opinione.
Ciao a tutti!

Onaocn: Ci vuole dire con questo che lei è uno dei pochi super fortunati che non ha passato pianistico su altri studi, avendo subito studiato gli studi del musicista polacco? Buon per lei.
Giusto per capire meglio la sua caratura pianistica, potrebbe gentilmente dirci a che metronomo esegue gli studi op 10 e 25 n 12?
Cordialità.

RaffaeleMJ_91: Grazie per il "lei" ma se ne può anche fare a meno. Grazie anche per il tono sarcastico, non fa altro che confermare il mio pensiero: con i preconcetti non si va da nessuna parte, soprattutto in musica. Innanzitutto lei dice che io non ho passato tempo su altri studi: mai detta una cosa del genere, lei la vede forse scritta? Ho passato ore e ore sull'Op.299 di Czerny ad esempio ma ho evitato l'Op.740 (non per presunzione nè altro, semplicemente passati). Dopo questo chiarimento necessario passiamo a Chopin: eseguo l'Op.25 No.1 al metronomo scritto, cioè intorno al 100 la semiminima. L'Op.10 no.12 sono ad un buon 145 la semiminima e il no.12 lo faccio a poco meno di 70 la minima ma è anche relativamente poco che l'ho studiato. Può anche rimanere nella convinzione per cui se non si studia l'Op.740 non si può matematicamente studiare Chopin, faccia come vuole! Applicarsi nella tecnica globale del pianoforte, cioè sulla spinta dal basso, sul polso vuoto, sul braccio molle, sul peso e sullo scappamento, sulla tecnica stretta di dita, serve molto più che studiare male gli studi. Conosco gente che suona Czerny a velocità atomiche rischiando di sfondarsi i tendini ogni 2 secondi e producendo un suono freddo e inespressivo. Liberiamoci dei preconcetti! Almeno nell'arte!
Un saluto

Onaocn: Evidentemente o ha letto male e male interpretato i miei precedenti o forse mi sono spiegato male, nessuna intenzione di recarle alcun sarcasmo, poi.
Ho parlato dell'op. 740 di Czerny perché nella prassi consolidata di almeno un secolo viene ritenuto un bagaglio indispensabile. Per intenderci, questo non vuol dire che si possa arrivare agli studi di Chopin per altre vie.
Nonostante ciò, in genere si pensa che chi non ha realizzato i primi tre studi di tale opera almeno a 140 la quartina di metronomo, non possa accedere alla professione pianistica e chi non li esegua almeno a 160 alla quartina ha preclusi i quartieri alti di detta professione.
Dal momento che detti studi sono in programma per il compimento inferiore, questa è un’altra ragione pratica per cui vengono tenuti particolarmente in considerazione.
Mi permetta: la parola spinta non esiste in nessuno metodo atto a sviluppare una supposta tecnica pianistica. Non esiste né dal basso né dall'alto e anche se qualche pianista eccezionalmente dotato lo fa raramente, per i più sarebbe assai dannoso. Peso e spinta sono antitetici, contrari forse denotano una certa confusione in atto nel mondo pianistico, certo non professionale.
Esegue gli studi mediamente intorno a 140 alla quartina, poco per eseguirli in pubblico peggio ai concorsi ma, sempre cosa degna e apprezzabile. Il fatto che altri abbiano mezzi superiori e li eseguano a tempi più altri così come dovrebbe essere 150, 160, 176, non vuol dire che si romperanno l'osso del collo ma, solo che hanno doti eccezionali, altrimenti Pollini dovrebbe essere già defunto da tempo...
Cordialità.

RaffaeleMJ_91: "uno dei pochi super fortunati che non ha passato pianistico su altri studi". Forse prima di scrivere bisogna comprendere il significato di quello che si dice. Poi: non è da concerto o da concorso eseguire uno studio al metronomo scritto sulla pagina pentagrammata (l'Op.25 no.1 lo eseguo al suo tempo). Benissimo lei deve essere veramente un cultore del pianoforte. Per quanto riguarda l'op.10 no.12 e l'Op.25 no.12 ho precisato di averli da molto poco in repertorio e che li sto ancora studiando quindi posso anche darle ragione che non vincerei il Concorso Chopin di Varsavia con quelli ma la precisazione è alquanto inutile perchè da per scontato che oltre un certo limite sia impossibile arrivare. Ancora lei dice cosa sbagliata sulla spinta: la spinta esiste soprattutto nello studio degli accordi e della progressione di accordi senza staccare la mano dalla tastiera ad esempio. Se il nome scientifico non è "spinta dal basso" mi scuso ma il fenomeno esiste e si usa anche se pochi lo insegnano. Io ho la fortuna di avere un insegnante che lo insegna.

RaffaeleMJ_91: Ad ogni modo è meglio chiudere la discussione: non ho intenzione di convincerla che il dogma assoluto in musica non esiste così come lei non mi convincerà del contrario. I fatti dicono che si possono studiare gli studi di Chopin anche senza l'Op.740 di Czerny: è libero di pensare che io sia un cialtrone non mi interessa. All'autore del post consiglio vivamente di studiare il no.12 prima del no.1.
Un saluto

Poi in realtà andando avanti migliorava… oltretutto l’intervento seguente del povero moderatore costituisce parte della mia bibliografia per questo brano che ho scritto, poiché citava brani tratti dal libro di Czerny 'Lettere ad una giovane fanciulla sull'arte di suonare il pianoforte'. Era su pianoforum.it e il titolo della discussione era un generico 'Chopin studio 12 op.10'. Chi è interessato se lo cercherà, io per salvaguardarmi l’ho scaricata anni fa per farmi una risata quando mi va di rileggerlo. Sono due pagine.

Concludo ritenendo di essermi dilungato ben oltre le aspettative iniziali e confidando che ogni sedicente insegnante di musica, e particolarmente di pianoforte, si sia posto i sopra riportati interrogativi almeno una volta nella vita.

22 dicembre 2020

Se

Se ti parlo e, nonostante
l'interesse tuo sia intenso,
non capisci quel che dico
e tanto meno quel che penso,
forse piove o tira vento
o più banalmente è il mio
colloquiare buono a stento
che imperversa con fomento
e alimenta il mio lamento
conseguente all'evidente
situazione sconveniente
che nemmeno quando penso
io capisco quel che penso.

15 dicembre 2020

Scuola

Oggi è il primo giorno di scuola e sono stato iscritto alle scuole elementari come tutti i miei nuovi compagni che non conosco. Sono tutti seienni, non come me che di anni ne ho 30. In questo primo giorno di scuola io ho un po’ paura, non tanto per il fatto che dovrò incontrare tutte queste persone nuove, quanto per il fatto che fare la prima elementare a 30 anni è strano e mi preoccupa sinceramente. Però mi faccio forza, dovendo fronteggiare anche la situazione che la scuola non è nel comune in cui vivo, bensì nella cittadina in cui lavoro che è più distante da casa. Mi reco nella cartolibreria/edicola per ritirare il libro di studio per il primo anno; si tratta di un piccolo volume sottile con pagine in carta spessa. È il classico sussidiario, ci sono anche gli spazi vuoti in cui scrivere le parole per completare le frasi. Sarà tutto molto educativo, immagino. Preso il libro in mano, vorrei pagarlo con la carta e il venditore mi comunica che per i contanti non ci sarebbe problema, ma se voglio proprio pagare con la carta devo pagare a Matteo Salvini che è fuori sulla strada. Infatti lui una volta era ministro dell’interno, ma ora lo hanno buttato fuori dall’edificio e non è più all'interno. Così esco a interpellare Salvini; egli mi porge il pos per avvicinare la carta e autorizzare l’addebito, ma mentre allungo la mano mi fa notare che ha scritto 45 euro anziché 30 e fa giusto in tempo a correggere la digitazione, evitando di farmi pagare 15 euro di troppo. Così penso "'mazza oh, che uomo onesto Salvini", ma anche "eh che cazzo, va bene le pagine spesse ma 30 euro per 'sto libercolo mi sembrano un po eccessivi..." Quindi pago e m'en vo', salvo rendermi conto quasi subito che il libro non costava affatto 30 euro! Il suo prezzo di copertina è di soli 3 euro e la cifra è indicata chiaramente in terza di copertina. Così capisco che Matteo Salvini, facendomi credere di non rubarmi 15 euro me ne stava invece rubando 27, mascalzone. Mi giro per rincorrerlo con foga ma non c’è più, si è volatilizzato.


Mi risveglio nel lettino,
il timore è inopportuno.
Ma vorrei saltargli addosso
e buttarlo dentro al fosso
quel pidocchio d’un meschino,
ladro e pure 71.


06 agosto 2020

Sa

Se incappi in quei salici,
salici. Ci troverai
sedici sudici
sadici (sordidi,
credici) saliti
in salute sui
sedici salici
dicendo "Salute!,
siam sedici
sordidi sudici 
sadici saliti
a sedere su
sedici salici".