18 febbraio 2014

Il teatro d'avanguardia alternativa dei bambini

In prima media io e i miei compagni di classe mettemmo in scena, sotto la supervisione del nostro professore di musica, un piccolo spettacolo teatrale basato su una storia scritta da noi stessi. Le scenografie e i costumi lasciavano un po' a desiderare, forse, così come gli oggetti di scena e l'originalità della trama.
Nulla di male in tutto ciò, direte voi.
Sbagliate.
Quella, per noi, era una caduta di stile come poche.


***

Quando andavo alle elementari fui costretto a frequentare, insieme ai bambini che erano a scuola con me, un corso che io oggi definisco di teatro d'avanguardia. Non ricordo se ci fu o meno la possibilità di scegliere se partecipare alle lezioni, ma immagino che si trattasse di un corso etichettabile come 'opzionale' o 'a scelta'. Sta di fatto che, quando c'erano le lezioni di teatro, tutti i bambini erano presenti. Io, per quel che mi riguardava, non venni mai interrogato da qualcuno che volesse chiedermi se intendevo partecipare al corso; mi trovai lì, come ho già detto, obbligato, tanto che la cosa mi sembrava normalissima, equivalentemente all'ora di matematica e a quella di geografia. 
D'altra parte, non mi fiderei mai delle decisioni prese da un bambino, quindi oggi posso ragionevolmente intuire che se allora qualcuno deliberò per mio conto, lo fece in buona fede.
La stessa cosa accadde nel momento in cui mi mandarono a catechismo; ci andai pensando che fosse obbligatorio. Poi scoprii che non era così e smisi di fidarmi anche degli adulti.
Ho l'impressione che chiunque senta la parola 'teatro' associata alla parola 'bambini' pensi ad un mucchio di marmocchi che, davanti a genitori e nonni, si esibiscono nella ridicola rappresentazione di una storia orrenda. Almeno nel mondo occidentale, credo che sia così più o meno dappertutto.
Il corso di teatro che frequentai non può ritenersi di queste stupidaggini nemmeno lontano parente. Lo ricordo ancora oggi e credo che non me lo dimenticherò per un bel po'.
L'insegnante, tale Lucia E., aveva all'epoca un'età che non so stimare, visto che quando avevo 8 anni mi sembravano tutti dei vecchi. La sua descrizione può delinearsi come segue: comunista alternativa dalla pronuncia peculiare e dal lessico più che ricco,
sempre seriosa, calzava scarpe senza lacci e, per quello che ricordo, era piuttosto severa con gli allievi.
Uno dei primi esercizi proposti era un semplice riscaldamento per 'prendere il ritmo', se così si può dire. I bambini (una ventina o poco più) si prendono per mano formando un cerchio e si allontanano gli uni dagli altri isotropicamente fino a che il cerchio non si rompe. Si stabilisce poi un verso di percorrenza, quindi uno dei bambini (scelto a caso all'inizio della lezione) dice il suo nome e poi, tutti insieme, si battono le mani una volta. Quindi tocca al secondo della fila (pronuncia il suo nome e poi tutti battono le mani all'unisono), poi al terzo e così via. Quello che si ottiene è quindi

Elena - CLAP - Andrea - CLAP - Jacopo - CLAP - ...

dove i nome sono pronunciati da una singola persona (che si chiama così) mentre i CLAP provengono dall'intero gruppo.
Probabilmente vi state chiedendo che scuola elementare io abbia frequentato. Non sottovalutate l'esercizio del cerchio: 20 bambini di 8 anni non sono in grado di eseguirlo, a meno che il genere umano si sia evoluto nel frattempo (e sono abbastanza certo del contrario). Ciò che accadeva è che ogni volta, sistematicamente, qualcuno (ma di solito si trattava delle solite 2 o 3 persone) diceva il suo nome mentre batteva le mani, creando un effetto che è difficile riprodurre per iscritto

GCiLuAlPio

Fare un giro completo del cerchio era un'ardua impresa, poiché ad ogni errore si doveva ricominciare da capo.
Oggi considero l'esercizio del cerchio estremamente educativo e formante.
Un'altra cosa che imparammo nel corso fu la cosiddetta 'camminata neutra'. Sarebbe inutile esporne tecnicamente la forma e il significato, vi basti sapere che questa non prevedeva la possibilità di fare curve durante il percorso, erano ammesse soltanto deviazioni di 90° rispetto alla direzione che si stava seguendo.




Inoltre, Lucia E. ci introdusse al concetto di 'cassettino della memoria'. Per ricordare una nozione, si estrae dalla tasca una chiave immaginaria (sarebbe a dire che si fa solo il gesto di estrarre la chiave, in realtà non si prende in mano nulla) e si apre il cassettino della memoria che è situato nella fronte di ognuno di noi. Si inserisce la nozione o qualsivoglia cagata nel cassettino della memoria (sempre in maniera fittizia, perché nella mano non c'è nulla) e quindi si può chiudere di nuovo a chiave il cassetto per poi riporre la chiave, cioè nulla, nella tasca o laddove la si desideri conservare.
Posso affermare che almeno uno di quei bambini continuò ad utilizzare il cassettino della memoria fino all'università.

Le rappresentazioni messe in scena al termine dei vari anni scolastici (3 su 5) furono, nell'ordine

L'occhio del lupo di Pennac
Il fantasma di Canterville di Oscar Wilde
Pippi calzelunghe

Durante lo spettacolo teatrale tutti i bambini erano vestiti allo stesso modo (per esempio tutti in bianco o tutti in nero) e i movimenti da attuare erano ridotti al minimo mentre si badava all'espressività, al suono delle parole.
La messa in scena di Pippi calzelunghe, poi, fu memorabile.
Eravamo fermi, immobili, e tenevamo in mano il foglio con la parte da recitare, perché la memorizzazione delle battute era una cosa secondaria. Dovevamo semplicemente leggere nel modo giusto le frasi che ci competevano, facendo ridicole smorfie in corrispondenza delle parole 'olio di fegato di merluzzo', poiché è una cosa che induce al disgusto.
L'anno precedente, per il fantasma di Canterville, avevo una sola frase da dire e riuscii a sbagliarla.
Non se ne accorse nessuno.
Poco male, perché una volta un allievo di Lucia E. sbagliò la sua battuta durante la rappresentazione finale e tutti gli altri bambini si misero a ridere. Lucia E., ritenendo quest'ultimo un comportamento sciocco e infantile, salì sul palco e pose fine ipso facto allo spettacolo, lasciando di stucco i genitori presenti.
Credo che con quel gesto volesse insegnarci che la risata collettiva era una caduta di stile che noi, gente seriosa, non potevamo permetterci.
Non imparammo biracchio al riguardo.