11 ottobre 2019

Femmina

Rigorosa mente,
rigorosa, mente 
rigorosamente.

28 settembre 2019

Indispensabile

Ti darei tutto ciò 
che per te è indispensabile 
ma non so come fare
perché è indispensabile.

24 giugno 2019

Anna Karenina di Lev Tolstoj. Riassunto quasi un saggio

Tutti i refusi sono voluti. 
La malriuscita coerenza intrinseca della struttura dei capitoli no.

Perché un’altro articolo su Anna Karenina?
Appunto, perché un’altro? Si scrive un altro.
Il libro mi è piaciuto molto e mentre lo leggevo lo raccontavo a tutti, talvolta anche ai non interessati; ho pensato che bisogna fare un sunto avvincente per le persone moderne che non hanno tempo per pensare (e infatti votano Lega) e tanto meno per leggere un romanzo scritto 150 anni fa da un vecchio con la barba. Vecchio...aveva poi meno di 50 anni.

Io ho letto una copia edita da Repubblica, sarebbe a dire dal gruppo editoriale l’espresso, 15 anni fa circa e stampato su carta senza cloro, se può avere importanza un’informazione del genere. È una bella edizione economica ma dalla copertina rigida, segnalibro e traduzione di Laura Salmon. Un grazie particolare va all’editore che nella introduzione rivela il finale del libro. C’è ancora in giro gente che vuole leggere i libri per sapere come vanno a finire le trame e non come vuole sorbirsi solo dei trattati di storia. Anche l’immagine in copertina è significativa. Il libro ha un buon odore e un cofanetto che lo contiene.

Trama e storia
La storia è divisa in 8 parti
All’inizio vengono introdotti i personaggi e presentati in sequenza così che si possa capire tutto da lì in poi. Riporto un disegnetto fatto da me che mostra quali sono i legami tra gli attori. Oltre a questi ve ne sono altri a dire il vero, ma io rappresento solo i principali.





AAK = Aleksej Aleksandrovic Karenin = marito di AKO
AKO = Anna (Arkadevna) Karenina Oblonskaja = Anna
SZ = Sereza Karenin = figlio di AAK e AKO
V = Aleksej Kirillovic Vronskij = amante di AKO
A = Anna = figlia di AAK e V
SAO = Stepan Arkadevic Oblonskij = fratello di AKO, marito di DAS
DAS = Daria Aleksandrovna Scerbackaja = moglie di SAO e sorella di KS
KS = Ekaterina Aleksandrovna Scerbackaja = sorella di DAS e moglie di L
L = Konstantin Dmitric Levin = marito di KS, amico di SAO, alter ego di Tolstoj

Vi sono intrecci familiari, come in Guerra e pace di Lev Tolstoj e in Beautiful di Rete 4.
Guerra e pace parla di guerra e...di pace! diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. Parla di guerra e di “Natasha che non sa chi amare perché è una puttana”.
In Anna Karenina non ci sono scene di guerra noiose. Tuttavia ci sono riflessioni su temi del tempo, più o meno interessanti.

Il romanzo è ambientato nella russia zarista nella seconda metà dell’800, la servitù della gleba è appena stata abolita e vi è una marcata distinzione tra nobili e non. I problemi principali dei nobili sono 2:
  • Sposarsi
  • Conversare adeguatamente
Nella divisione sociale tra nobili e servi così fatta, si vedono eccome i prodromi della futura rivoluzione, che è stata appoggiata dai poveri in russia i quali avevano questa discendenza. È un argomento ampio che non affronto qui perché non posso e non sarei neanche in grado.

Anche nei libri di Fedor Michajlovic Dostoevskij il tema dei matrimoni è ricorrente. I commenti e i paragoni tra Lev Tolstoj e Dostoevskij li rimando alla fine perché sono immancabili quando si parla di uno o dell’altro. L’unica cosa che hanno avuto in comune è che entrambi facevano gli scrittori ma, se si vanno ad analizzare le rispettive opere, per me non c’è nulla che li accomuna (per fortuna, aggiungo). Il romanzo è scritto in modo tecnicamente perfetto fin da subito, basta pensare che è circa contemporaneo a I demoni e L’adolescente di Dostoevskij che invece sono guazzabugli insensati per quanto li metto tra i libri che ho apprezzato di più (molto di più dei libri di quel pezzente di Tolstoj ovviamente).

Antefato
Attenzione! contiene anticipazioni (ma del resto chi non ne contiene al giorno d’oggi?)
Stepan Arkadevic Oblonskij è il fratello di Anna Arkadevna Karenina Oblonskaja (Anna) e marito di Daria Aleksandrovna Scerbackaja (Dolly), oltre che amico di Konstantin Dmitric Levin. Stepan ha tradito Dolly ma i due restano insieme perché Anna convince Dolly a rimanere con suo marito. Levin è innamorato di Kitty, sorella di Dolly, che prima rifiuta la sua proposta ma poi in seguito la accetterà. Anna è sposata con Aleksej Aleksandrovic Karenin (e perciò è una Karenina) ma lo tradisce con il conte Aleksej Kirillovic Vronskij, che poi è lo stesso di cui si era “innamorata” Kitty e per il quale aveva rifiutato inizialmente Levin, salvo poi scoprire che Vronskij non la amava.

La relazione tra Anna e Vronskij viene scoperta dal marito e ammessa dalla stessa Anna che per di più rimane incinta (il signor Karenin vedrà la nascita della piccola nel corso della storia). Il marito di Anna riesce a gestire la cosa in maniera subdola fin da subito (abbastanza subdola che io possa apprezzarne il comportamento meschino e perfido) per fare ricadere tutte le colpe sulla consorte. Dapprima vorrebbe chiedere il divorzio ma poi decide di perdonarla facendola sentire ancora più in colpa. Ma Anna si sente veramente colpevole? Ma che ne so, io il libro l’ho letto anni fa e non ricordo più tanto.

Alla fine della IV parte Anna e Vronskij si allontanano dalla città (che in questo momento sinceramente non ricordo nemmeno se sia Pietroburgo o Mosca perché il romanzo si svolge a metà tra le due, comunque penso che abbia importanza marginale per quelli che sono i miei fini) pur senza alcun divorzio formalizzato tra Anna e Karenin; il figlio di Anna, Sereza, rimane con il padre mentre la figlia Anna Junior va con i genitori che poi sarebbero Anna e Vronskij.
In particolare nella IV parte ci sono scene degne della fiction di più bassa lega, come quando Kitty ricambia l’amore di Levin, quando il suicidio di Vronskij non va a buon fine, la decisione di Karenin di perdonare e altra robaccia…
Insomma ci sono più punti sensazionali che fanno venire voglia di proseguire la lettura.

Personalmente, nella prima metà del romanzo tengo le difese di Karenin e non della moglia. Inizialmente pare che entrambi vogliano in fondo fare ricadere le colpe sull’altra parte ma il marito viene quasi dipinto come un buono nell’animo e sincero.
Per esempio, ho proprio l’impressione che Anna chieda il perdono del marito (quando ha partorito e crede di morire) sperando che lui non la voglia perdonare, così da farlo passare per cattivo. Invece il signor Karenin la perdona con spirito cristiano e la rende così sottomessa e misera.

V parte
Descrive scene di Anna e Vronskij in Italia e all’estero e il loro ritorno a Pietroburgo. Anna va a teatro facendosi dare della puttana da tutti quelli che la vedono, anche se il compagno le aveva sconsigliato di farsi vedere a teatro dove tutti li conoscono. Ma lei no, insiste, dio boia...
Qualche pagina dopo, Anna non resiste alla voglia che ha e rientra nella casa di Karenin, con il quale peraltro è ancora ufficialmente sposata, per vedere suo figlio Sereza che intanto è cresciuto.

VI parte
Vi sono prevalentemente scene di Levin in campagna (scene di caccia) e della sua gelosia per Kitty. Anche nella III parte vi erano stati molti capitoli lenti sull’agricoltura ma sicuramente non siamo a livello delle scene dei combattimenti in Guerra e pace che sono anche peggio. Dolly inizia a pensare che forse avrebbe dovuto abbandonare il marito quando questo la tradì, invece di dare retta ad Anna, sorella di Stepan, che predica bene e si comporta male.
Elezioni dei governatori in provincia (inutili le digressioni dei russi), poi Anna decide di chiedere il divorzio e va a Mosca con Vronskij dove vivono con una coppia spostata (avrebbe dovuto essere “come una coppia sposata”, ma c’è stato un refuso).

Nella VII parte nasce il figlio di Levin (che al padre fa schifo perché come tutti i neonati è bruttissimo e rosso) e la sofferenza di Anna è sempre più accentuata e trasmessa al lettore; Anna pensa che Vronskij non la ami più e infine decide di uccidersi buttandosi sotto il treno. Con riferimento anche al personaggio che era morto sotto al treno, nella prima parte, tra l’indifferenza di tutti. Anche di me che mi ero dimenticato di scriverlo.

A questo punto, potrebbe finire il libro (anzi dico che era appropriato porre il termine con la morte dell’eroina, visto pure che tanta gente mi ferma tra Bologna e Firenze chiedendomi una firma contro l’eroina) e invece l’autore ha l’insana idea di proseguire con la VIII parte, facendo finire il libro più di una volta tipo Freedom di Franzen (anche questo signore altro fenomeno sopravvalutatissimo), in cui parla di temi che gli stanno a cuore (religiosi e politici) che certamente in un modo o nell’altro avrebbe potuto inserire prima (in che modo? non sta me a dirlo visto che lo scrittore professionista è Lev Tolstoj ed è giusto che lui fare il suo sporco lavoro invece di coltivare le mele e le api).
Poteva sconvolgere tutto facendo morire Kitty e il figlio (non un finale sensazionale seppur improbabile, che avrebbe salvato il salvabile dal punto di vista narrativo e della dignità dell’autore) e invece i due personaggi sopravvivono rendendo l’ultima parte davvero opprimente e superflua. 

Tutto sommato è un bel romanzo che mi permetto di consigliare.

Tolstoj e Dostoevskij
È un confronto affrontato da tutti e io non mi tiro indietro. Per quello che ho potuto verificare i libri di Tolstoj sono scritti meglio (a tratti molto meglio, a tratti leggermente, a volte no, ma generalmente sono più ordinati e più facili da leggere) ma non sono per niente paragonabili ai libri di Dostoevskij se si parla del coinvolgimento emotivo. La sensazione che si ha è ben descritta dal seguente frammento che ho trovato in rete:
Non c’è via di mezzo. Se non siete coinvolti con ogni fibra del vostro essere, allora non state leggendo Dostoevskij. Se state leggendo Dostoevskij e non siete coinvolti con ogni fibra del vostro essere, allora non state leggendo. Perché se niente si smuove, se dentro restate freddi e monolitici, se non piangete, non ridete e non vi trovano imbambolati sul gradino davanti casa, allora mai nient’altro vi muoverà. (Chiara Pagliochini)



Dostoevskij fa venire i brividi, soprattutto I Demoni.

02 aprile 2019

I jazzisti e le scale

Affermare d'impatto che i jazzisti sono la rovina della musica moderna così come l'elettronica è il male del nostro tempo, senza dare spiegazioni aggiuntive, significherebbe certamente fare economia del proprio tempo prezioso evitando di sprecarne per argomentare futilmente una affermazione vera. Tuttavia la storia dell'umanità, le circostanze e le buone maniere impongono a questo punto una digressione per chiarire. Si sospenda quindi momentaneamente il giudizio sulla asserzione fatta in principio, e mi si conceda di descrivere, seppur rimanendo sul piano della vaghezza, come sono arrivato alle suddette conclusioni.
Se dovessi davvero raccontare di come mi sono avvicinato al jazz, dovrei prima ricordare tutta la mia vita spiegando come ho iniziato ad ascoltare la musica. Questo sì che andrebbe oltre ogni limite. Basta sapere che ho avuto i primi contatti con questo genere proprio tramite l'ascolto. Non vi ho mai capito molto, devo ammettere.
Per chiarire le cose storicamente, è invece importante premettere che il jazz nasce da una costola del blues. Come il rock, anche se questo è arrivato dopo temporalmente. Insomma si può dire che sono entrambi figli della stessa madre. Degno di nota è pure il fatto che quando si parla di jazz oggi, generalmente ci si riferisce a musiche che a loro volta discendono dal bebop, che sarebbe il jazz diffuso alla fine degli anni 40 del XX secolo, circa. Prima di allora c'era un jazz diverso e bello. Swing.

Merita un breve excursus (di cui poi sarà chiara la necessità) la visione del mondo musicale, oltre che l’opinione sul jazz, data dal Guru della batteria (i suoi video sono ancora disponibili su youtube nel momento in cui scrivo). La teoria del Guru parte da alcuni concetti fondamentali; il primo è il concetto di gente: la gente è costituita dalle persone che non hanno nozioni musicali ma che hanno disponibilità economica e possono pagare i dischi e i biglietti dei concerti. Il secondo concetto è quello di 'ragazzotto'. I ragazzotti sono sempre gente, ma acquisiscono conoscenze musicali (per esempio andando a lezione) e in rari casi divengono musicisti. Il termine non ha un legame con l'età ma con lo stato d'animo della persona e con l'approccio che questa ha di fronte alla musica. Infine vi è il concetto di musica (e quindi di musicista) che viene per ultimo non nel senso inglese di "last but not least" ma proprio perché la musica è all’ultimo posto e non interessa a nessuno. Dopo tutto ciò c'è il Guru (colui che parla nei video; in particolare si riferisce alla batteria ma il concetto può estendersi ad altri strumenti o addirittura alla musica in generale) che si occupa di fare il Virgilio dei musicisti che, presi da tutti i loro impegni, a volte perdono un pochino il contatto con la realtà (musicale e non solo). Già davanti a questa sintesi potremmo gridare al capolavoro.
La formalizzazione teorica della realtà viene quindi estesa ma io non entro ora nel dettaglio, mi muovo direttamente ad un commento sull'opinione del Guru relativa ai jazzisti.
L'idea è che i jazzisti, benché ne abbiano l'evidenza, si ostinano a fare una cosa che alla gente non piace e questo li rende deprecabili. Molto stringatamente il riassunto che credo di poter fare è questo, ma il video merita senz’altro di essere seguito con attenzione dal principio alla fine. Tutto questo ricordo serve per dire che mi allineo alla versione secondo cui il jazz ognuno deve farlo a casa sua. Se non piace alla gente è inutile che si voglia continuare a proporlo lamentandosi e dispiacendosi poi del fatto che di jazz non si campa. Fine della polemica tra me e il sottoscritto.

Nel suo libro sul jazz, Arrigo Polillo dice che il bebop ha condannato il jazz ad una impopolarità da cui non è più riuscito a fuggire. Magari il concetto non è formulato proprio così ma è molto chiaro, e come gli si può dare torto...i fatti confermato tutto. I primi musicisti bebop non facevano altro che vivere all'insegna di una rivoluzione che poi non ha avuto gli esiti sperati. Ecco, fin qui non c'è nessun problema. Il problema nasce quando le generazioni successive non si rendono conto di quella che è la realtà delle cose e non si vogliono convincere che alla gente questa musica non piace. Per me il jazz è un po’ come la musica dodecafonica nata a Vienna nel primo 900 e in realtà anche di tutta la musica "colta" contemporanea; li considero semplicemente malriuscite evoluzioni estreme dei loro antenati. Qui non voglio criticare le qualità musicali; si tratta davvero di opere ragionate che hanno un loro senso, e comunque non sono così competente per valutarne tutte le regole proprie. Quello che mi pare evidente è che sono generi che sono nati fuori dal loro tempo (immagino che il loro tempo non possa che essere il futuro); mi sorprendono le reazioni degli addetti ai lavori e degli appassionati che non si riescono a mettere in testa questa cosa.
Sempre dal libro di Polillo, ricordo con piacere la parte in cui parla dell'avversione di Louis Armstrong per il bebop. Diceva che i nuovi musicisti suonavano note 'estranee' perché non erano in grado di suonare quelle giuste (praticamente sosteneva che suonassero a caso). Non penso fosse vero allora anche solo per alcuni di essi, ma se oggi si considerano i musicisti che sanno suonare, e che tecnicamente non discuto, si capirà che questi spesso obbediscono alla legge delle scale. Sanno quali sono le scale giuste (anche se poi si ostinano a dire che non ci sono note giuste e sbagliate, ma di questo parlerò dopo) e cercano di suonare 16 milioni di sedicesimi. Io dopo 16 sedicesimi mi sono già perso. Non sempre è buono suonare tante note, anzi spesso la musicalità e la piacevolezza di un motivo la valutiamo indipendentemente dalla velocità e dalle note in sé e tanto meno dal numero di note. È piuttosto una impressione complessiva e sommaria la prima che colpisce e l’ultima che rimane.*
I jazzisti devono vedere scale dappertutto, hanno una certa perversione per le scale. Per loro la musica è fatta di scale. Non pensano alle scale come ad una (seppur limitata) delle possibili formalizzazioni del pensiero musicale, ma come la fonte da cui tutto scaturisce.
Anche laddove vi sono spiragli di lucidità e si conviene che tutte le note si possono utilizzare (dipende come!), c'è chi dà a questa idea il nome di scala cromatica, quando chiaramente non è la denominazione appropriata e non è nemmeno detto che cromatismo lo sia. Tra suonare tutte le note e utilizzare la scala cromatica c’è una bella differenza...Nei corali Bach utilizza tutte le note, ma lo fa inserendole come note estranee all’armonia, quindi non è corretto sostenere che stia utilizzando la scala cromatica e infatti a nessuno è mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di dire una cosa del genere. Le stesse note estranee possono vedersi in tutti i generi musicali, senza bisogno di ricorrere ad architetture teoriche complicate come le scale dei jazzisti. Poi c’è da dire un’altra cosa importante: usare le note di una scala non significa usare la scala. Anche qui Bach è maestro nell’utilizzo delle scale melodiche (maggiori e minori) e si può dire che utilizza una scala quando effettivamente ne utilizza un frammento. Se invece parliamo di una triade beh... questa potrebbe tranquillamente appartenere ad una decina di scale diverse, ammesso che sia estrapolata dal contesto armonico (nel contesto musicale, la scala di appartenenza è solitamente quasi determinata pur restando aperta la strada delle ambiguità).

Le precedenti righe sono solamente considerazioni propedeutiche a una riflessione da fare su un altro tema: la convinzione dei jazzisti che la loro musica non si possa insegnare con fare accademico e che non sia e non debba essere "musica da museo" (Bollani). Anche qui è sorprendente come certe persone, apparentemente e forse anche per davvero intelligenti, si lascino ingannare così facilmente da osservazioni banali. Tutta la musica evidentemente nasce all'atto pratico come una manifestazione artistica, in principio non gode di nessuna connotazione accademica né di formalizzazioni rigorose. La differenza principale tra la musica classica e il jazz in questo caso è semplicemente l'età. Il jazz, nel 2019, ha meno di 150 anni, mentre quando parliamo di "musica classica" (e mi si permettano molte virgolette perché musica classica è un’espressione brutale che non vuole dire nulla ma che utilizzo perché si capisce, quindi forse qualcosa vuole dire) possiamo tranquillamente considerare 200 anni di più rispetto al jazz.
Una materia il cui insegnamento si possa considerare in fase embrionale o al massimo neonata presenterà certo dei problemi. Tuttavia questi problemi non si possono imputare a nessuno se non al normale corso degli eventi, quindi è giusto che la situazione attuale sia così com’è. Si tratta solo di capire chi coscientemente vuole fare da cavia e chi invece non è interessato, sia dal lato dell’insegnamento che da quello dell’apprendimento. Tutto ciò resta una mia opinione; le visioni sono molteplici e spesso errate quando si dà una descrizione storica di un tempo contemporaneo (basta fare l’esempio di Massimo Mila che nel libro Breve storia della musica fa strafalcioni su strafalcioni quando arriva a parlare del 900, citando opere che, a meno di 100 anni di distanza, vengono ricordate come di scarso valore sociale e la storia musicale del XX secolo ha avuto tutto un altro carattere rispetto a quello descritto da Mila).
Dire che a lezione non si impara tutto è un’ovvietà, chiaramente non vogliamo metterci a discutere su questo punto. Il punto è che non deve essere un vanto. L’obiettivo dovrebbe essere quello di imparare il massimo a lezione, considerando che molti studenti (i ragazzotti del Guru della batteria) non dedicano tanto altro tempo alla musica. Limitandosi al materiale acquisito durante le lezioni di musica, non si imparerà mai bene la musica né a suonare lo strumento, si dovrebbe però acquisire almeno delle competenze sufficienti. Il programma classico (e qui mi riferisco a un tradizionale percorso di pianoforte) riesce a dare una formazione più che sufficiente per due motivi essenzialmente. Il primo è quello che dicevo prima e cioè che si tratta di un metodo storicamente consolidato che ha avuto tempo per fare emergere i suoi difetti e correggerli. In secondo luogo trae paradossalmente vantaggio dal fatto di insegnare un genere (o meglio un insieme di generi) meno conosciuto e più lontano da noi. Perciò nella vita reale possono esserci un certo numero di cose da imparare relativamente al jazz, ma ve ne saranno molte di meno legate alle musiche del XVIII e XIX secolo. Così, il rapporto tra nozioni apprese a lezione e nozioni extra lezione risulta più vantaggioso perché è difficile che nella comune vita si possano cogliere tante nozioni legate alla musica classica visto che questo è un argomento ancor più raro del jazz.

Qual è il metodo giusto per studiare la musica?
Il metodo giusto per studiare ha almeno una modalità che resta valida per ogni materia: studiare appassionatamente. In mia opinione, solo in un secondo momento entrano in gioco l’organizzazione e il tempo dedicato. Visto che lo studente è tale proprio perché non sa le cose, non si deve pretendere né pensare che faccia bene; se esiste un modo giusto per studiare, dovrebbe trovare applicazione solo in alcuni casi eventuali e difficilmente sarà la regola.
Più interessante è valutare qual è il modo giusto per insegnare.
Se ve ne fosse soltanto uno giusto, potremmo dire che chi lo adotta fa bene mentre tutti gli altri insegnanti sbagliano e ci troveremmo così, visto che ognuno sembra fare il cazzo che vuole, di fronte a orde di istruttori incapaci; alternativa non impossibile ma improbabile in mia opinione. Posto che un unico metodo giusto probabilmente non esiste e comunque non uscirà dalla mia testa, la migliore alternativa che posso proporre è quella di un metodo personalizzato e individualizzato al variare dello studente. Qui sì che siamo purtroppo di fronte agli istruttori incapaci di cui sopra...
Al di là dei contenuti di un corso (complessità tecnica del materiale sottoposto, suonare un brano piuttosto che un altro) che evidentemente non possono essere e non saranno gli stessi per tutti, vi è il modo di affrontarli. Si potrebbe snocciolare una serie infinita di idee, fra cui l’interpretazione di un brano. Secondo me l'interpretazione musicale è un fattore ancora male gestito dalla maggior parte degli insegnanti. La cosa più comune è che dicano come si suona (rallenta, accelera, forte, piano!, prepara, profondo...) e se non fai come dicono sbagli. Benché sia molto verosimile che lo studente sbagli in prima battuta, l'obiettivo dovrebbe essere quello di fare capire cosa è una interpretazione e di ottenerne una originale e personale da ognuno. Una volta chiarita tale visione, si può allinearvisi oppure no discutendola. Fino a che ci troveremo intorno insegnanti di musica che spiegano come si suona un brano secondo il loro vangelo, faremo poca strada. Il fatto che siano in errore si può affermare senza timore nel momento in cui qualcun altro sostiene una tesi diversa. Come già argomentato prima: se le opinioni sono discordanti ed entrambe non discutibili, almeno uno dei due sbaglia.
L’interpretazione del singolo dovrebbe fare risaltare l’inclinazione naturale dell’individuo (e dei popoli in generale) che è in fondo influenzata dalle tradizioni e dal contesto sociale e quindi poco differenziata in tanti casi comuni. Mi sento molto più vicino al melodramma (e alla canzone che dall’aria deriva) che non al blues afro americano o alla musica strumentale tedesca (sia essa da camera o sinfonica).

Visto che qui sembra farsi notte, forse è meglio tirare le somme. Direi che il jazz se l’è cavata fin troppo bene, dato che la critica si è aperta nei confronti di una gamma ben più ampia di soggetti. Io magari sono un po’ rude, ma voi non chiudetevi nel vostro guscio. Grazie.

Circa l'analogia con l'elettronica non vorrete davvero che perda tempo.

*Devo approfondire questo punto in un articolo futuro

25 marzo 2019

Orribile

Evito gli esseri umani e per questo
si può giustamente dire di me 
che sono un essere orribile.

Ed essendo io orribile
gli esseri umani mi evitano.

E così io instauro un processo
in cui non faccio nulla
(se non all'inizio)
e mi faccio evitare
dagli esseri umani.

05 marzo 2019

Macchina

Mi sono sognato
che mi rubavano
la macchina
con un filo di lana.
Che cosa strana.

Che cosa strana.

22 febbraio 2019

racconto

Ero con i miei amici Valdo e Giuliano all’ipercoop di Biella che però non era l’ipercoop di Biella...va be’. Siamo usciti e siamo andati a mangiare in un ristorante dove avevano degli antipasti che facevano schifo e nel tavolo di fianco al nostro c’era una donna che ruttava e non si fermava più. Dopo siamo andati in un albergo lì vicino per dormire e a un certo punto mi è venuto bisogno di andare in bagno. Ci sono andato e quando sono uscito sentivo dei rumori che venivano dal bagno. Sono andato a vedere e c’era Giuliano che stava pisciando, solo che prima non l’avevo visto. Sono uscito di nuovo dal cesso e chi ho trovato sul mio letto? La donna che ruttava. Le ho detto: “Potrebbe andar via che questo è il mio letto e ho sonno e domattina devo essere a Foggia alle 7 e mezza?” Lei però è rimasta lì e continuava a ruttare, allora sono tornato a casa mia, a Medolla in provincia di Modena, e ho trovato i mie amici gemelli Cesare e Nicolò che montavano il kit di chitarra classica comprato al discount a 49 euro e 90, con le istruzioni in nepalese. Gli ho detto: “Oh, io un po’ di nepalese lo mastico, se volete mi unisco a voi.”

Maurizio Milani

06 febbraio 2019

sole

Nei giorni di sole (lo sai)
io penso soltanto a te.


Nei giorni di pioggia
io penso ai giorni di sole
passati pensando a te.

Nei giorni da solo io penso
ai giorni di pioggia in cui
ripenso a quei giorni
di pioggia passati a pensare
ai giorni di sole con te.

11 gennaio 2019

Sto leggendo my family and others animals di Gerald Durrell

Morgan spiega (e suona) Beethoven, i Beatles e la musica ecclesistica

Dire che Morgan è un compositore significa spararla grossa quasi quanto dire che è un pianista. Il livello tecnico, sia pianistico che compositivo, che emerge dall'osservazione del video è indubbiamente basso se valutato con canoni classici, è evidente. Proprio perciò non occorre specificarlo con stizza, anzi così facendo si rischia di cadere nel ridicolo; che ci siano persone che mettono in discussione le capacità tecniche fa pensare piuttosto che queste non abbiano capito cosa stanno guardando, e non che siano così intelligenti come vorrebbero far credere o credono di essere.
Morgan si potrebbe al limite definire un artista, se di arte si può parlare, vista l'influenza sociale e culturale che ha avuto in un certo periodo e su un limitato gruppo di persone (e in un'area geografica ristretta, aggiungo). La figura del compositore, ma lo stesso vale per il pianista, ha più spesso una connotazione tecnica/operativa, riferendosi a chi la musica la scrive davvero con coscienza e sapendo cosa sta facendo, realizzando elementi che non possono limitarsi all'artisticità, alla originalità o, peggio, alla stranezza. La colonna sonora di un video spesso non colpisce per la particolare bellezza, ma risulta invero fondamentale e portante (da cui il nome colonna) per la riuscita complessiva del prodotto. Molte persone non danno peso alle colonne sonore perché banalmente non ne hanno una idea tecnica sufficientemente chiara e non perché non ne apprezzino il contenuto musicale. É un po' come dire che chi entra in una chiesa si sofferma ad ammirare gli affreschi dimenticando che vi sono le fondamenta senza le quali non ci sarebbero i primi.
Volendo quindi dare a Morgan la caratterizzazione dell'artista, non si dimentichi però che ha basilari capacità e nozioni tecniche sul suo strumento, che tali possono ritenersi almeno con riferimento all'epoca in cui ha vissuto e agito (e tuttora vive). L'arte nasce come applicazione di ampie capacità acquisite accademicamente, solo in una epoca più recente sono sorte manifestazioni artistiche che mettevano in secondo piano le vere competenze tecniche pregresse e prima date per scontate.
Questo continuo declino si riduce infine a realizzare la situazione attuale in cui troviamo degli individui possibilmente considerati 'artisti' (i cosiddetti influencer) solo per il fatto di avere una opinione che sposta le masse. Ammesso che veramente una opinione l'abbiano, non basta per garantire che sia stata ragionata e costruita su solide basi.
Questo forse farà voltare nella tomba Aristotele, così come Beethoven che sente Morgan...tuttavia essendo i morti morti e immobili non mi preoccuperei troppo.

***

Meravigliosa ma... è schematica! Matematica!
Spostare di un sedicesimo le mani.
Beethoven!
Io ho fatto fondamentalmente uso di clavicembalo distorto.
Ho usato...roba aleatoria... secondo me anche Beethoven sarebbe contento di questo.
Io non ho la presunzione di andare a mettere la nota estranea.
La patetica, siccome mi sembrava dei Beatles... l'importante è non cambiarne il contenuto musicale.

C'è un aspetto tecnico. Dunque, noi abbiamo importato questa innovazione dal Canada...
Tecnica?


***

Detto questo, a me la canzone di Morgan basata sulla patetica è piaciuta; non penso che sia opportuno perdersi in un giudizio più approfondito di così, avventurandosi in percorsi fatti di sottigliezze e minuzie solo volte a impressionare, tenuto conto anche del fatto che stiamo parlando di Morgan e non di Beethoven. In questo caso un giudizio superficiale allineato ai propri gusti personali è del tutto esauriente.